Il nuovo MES è in arrivo: cosa cambia (e cosa rischia l’Italia)

Felice Bianchini

26 Ottobre 2021 - 07:00

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L’Italia è l’unico Paese in cui si è parlato tanto del MES: entro la fine dell’anno verrà votata la ratifica del nuovo trattato. In prospettiva, si intravede anche la questione scottante delle regole.

Il nuovo MES è in arrivo: cosa cambia (e cosa rischia l’Italia)

Klaus Regling, il direttore generale del Meccanismo europeo di stabilità, per gli amici MES, ha concesso un’intervista a Der Spiegel, in cui fa il punto della situazione dell’Europa e dello strumento che è sotto la sua supervisione. Regling mette in luce principalmente gli aspetti che riguardano i debiti degli Stati membri e la loro sostenibilità.

Nell’ultimo periodo, afferma, i bassi tassi di interesse hanno reso il quadro debitorio più ottimistico e sostenibile. Tuttavia, secondo il direttore del MES, le regole servono e in alcuni casi non vanno modificate. Entro la fine del 2021, ritornerà in voga il tema MES, con la ratifica del nuovo MES in Parlamento, dopo che l’anno scorso, durante il Conte II, venne portata avanti una lunga e dura battaglia politica tra quelli a favore e quelli contro, che si concluse con un voto favorevole alla riforma.

Ratifica del nuovo MES a parte, la prossima data da segnare sul calendario è l’inizio del 2023, quando dovrebbe terminare il periodo di sospensione del Patto di Stabilità e Crescita (PdSeC), l’accordo internazionale con cui gli Stati membri dell’Ue hanno perfezionato le linee guida nel trattato di Maastricht del 1992 (i cosiddetti «parametri di Maastricht»), un percorso conclusosi intorno al 2011/2012 con l’introduzione prima del Six Pack e poi del Fiscal Compact, finalizzati alla sorveglianza delle politiche fiscali e alla riduzione del debito.

Dall’inizio della pandemia si parla di riscrittura del PdSeC, senza però che si sia ancora arrivati a un vero e proprio progetto di modifica. Klaus Regling, figura rilevante nell’Ue, si è espresso sulle regole e la loro possibile modifica.

Cosa rischia l’Italia con il nuovo MES

Il MES è un meccanismo europeo che fornisce prestiti quando un Paese perde l’accesso al mercato. Fu utilizzato in occasione della crisi greca, quando i titoli di Stato greci furono classificati come «junk» (letteralmente: spazzatura).

L’Euro è una moneta privata e transnazionale e la BCE, che lo emette (lo stampa si direbbe in gergo), è un’istituzione indipendente, che non risponde politicamente a nessuno e che, secondo i Trattati europei (art.123 TFUE), non è tenuta a concedere credito a - o meglio acquistare titoli direttamente da - nessun ministero del tesoro. Questo significa che, se i mercati internazionali non vogliono acquistare i titoli di uno Stato (come nel caso greco) sorge un rischio default: è in queste circostanze che interviene il MES.

Alla luce di questa premessa, la riforma del MES lascia a desiderare per tre motivi:

  1. profezia autoavverante: se si apre all’utilizzo del MES, si lancia un messaggio pericoloso ai mercati, che potrebbe causare, innescando panico tra gli investitori, una crisi del debito che in altre situazioni non sarebbe così probabile;
  2. buoni e cattivi: le linee di credito previste dal nuovo MES dividono sostanzialmente i Paesi in buoni e cattivi; i buoni sono quelli che hanno una finanza stabile e in linea con i parametri di Maastricht, o con le regole del Fiscal Compact (riduzione annua di 1/20 del debito eccedente il 60% debito/PIL). Così facendo, paradossalmente, si rende più semplice ricevere aiuto per chi non è in difficoltà e più complesso per chi invece si trova in difficoltà;
  3. riforma delle clausole di azione collettiva (CACs): una modifica che non indica esplicitamente la possibilità di ristrutturazione del debito (quello che avvenne in Grecia), ma rende più semplice la decisione dei creditori, perché viene modificata la maggioranza necessaria a procedere con una ristrutturazione (non più tante maggioranze quante sono le tranche di debito, ma solo una generale), aprendo a un rischio, per i privati, di perdita del capitale investito. Se passasse, l’ABI ha annunciato che acquisterebbe meno titoli di Stato.

La situazione dei debiti e dei tassi di interesse in Europa

Il tabù dei deficit è venuto meno e con lui quello dell’accumulo di nuovo debito. Nulla di male per il direttore del MES, Klaus Regling, secondo cui la situazione di crisi dovuta alla pandemia richiedeva risposte come quelle che sono state messe in campo (tra le quali deficit a due cifre ndr). Nuovi prestiti e nuovi debiti servivano e servirebbero ancora, perché se non si fosse seguita questa strada, il risultato in termini di aumento del debito sarebbe stato ancora peggiore.

Inoltre, il livello basso di tassi di interesse (che Regling non attribuisce all’intervento della BCE, ma a una condizione di sovra-risparmio) rende sostenibile il nuovo debito, che in alcuni casi è andato a sostituire alcune parti contratte in condizioni di tassi meno favorevoli. E il bello, per così dire, è che per Regling rimarranno bassi, anche perché l’Ue ha bisogno di molti investimenti in questa fase e un aumento dei tassi potrebbe complicare la situazione, disincentivando gli investimenti.

Altro capitolo è l’impegno delle politiche fiscali verso la riduzione dello stock di debito. Per Regling seguire alla lettera i trattati, nel senso di ridurre il rapporto debito/PIL fino al 60%, è un nonsenso economico: per esempio, l’Italia dovrebbe fare un costante avanzo primario (ossia spesa pubblica inferiore rispetto alle tasse) del 6-7% annuo. Regling cita un episodio del 1993, quando l’Italia utilizzò il 12% del PIL solo per ripagare interessi sul debito (oggi siamo nell’ordine del 3%).

La riforma delle regole Ue secondo Regling

Nell’intervista, reperibile sul sito ufficiale del MES, Regling aggiunge alla pars destruens una pars costruens. La proposta di riforma del direttore del MES è chiara e si articola su tre punti principali:

  1. la mutualizzazione del debito non va fatta, dice rassicurando il contribuente tedesco. Il motivo è che esistono già strumenti sufficienti e utili come il MES e meccanismi come il Recovery Fund, che non vengono finanziati da una fiscalità generale, ma sempre da quella nazionale, come da trattati (politica fiscale in mano agli Stati membri);
  2. la regola del mantenimento del deficit nell’ordine del 3% rispetto al PIL, per Regling ha dimostrato il suo valore e dunque non va toccata;
  3. la regola del mantenimento del rapporto debito/PIL al 60% è invece superata per il direttore del MES e andrebbe adattata al nuovo contesto.

Non proprio una rivoluzione. In ogni caso, resta da capire quanto peseranno queste parole nel resto d’Europa, in particolare in Germania, dove sta nascendo la nuova coalizione di governo.

La ratifica del nuovo MES: nuovo nodo del governo Draghi

Ciò che è certo è che entro la fine dell’anno l’Italia dovrà ratificare la riforma del MES. L’anno scorso, durante l’ultimo periodo di vita del Governo Conte II, si votò a favore della riforma, dopo una lunga battaglia andata in onda sui media che portò a fratture interne al Movimento 5 Stelle, storicamente dichiaratosi contrario.

Quel voto, nel dicembre 2020, fu un impegno preso dall’Italia, che è stato ricordato dall’Eurogruppo alla fine di settembre. Lo stesso Ministro Franco ha dichiarato che si proseguirà senza problemi con la ratifica. Il voto di ratifica di fine 2021 rischia di diventare ancora più divisivo, visto che nel Governo Draghi non c’è più solo il Movimento 5 Stelle (che a quanto pare ha cambiato idea sul MES), ma anche la Lega, che votò in blocco contro.

Per ora, sotto il cosiddetto ombrello della BCE, non si capisce perché dovrebbe preoccupare il famigerato MES. I problemi, infatti, sorgerebbero in caso finisse la fase espansiva a Bruxelles e Francoforte - e nessuno ha mai detto che si tratti di un intervento perpetuo. Come accennato, se ci si limitasse alle parole di Regling, non si potrebbe parlare di rivoluzione, o anche solo cambiamento all’interno dell’Unione europea.

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