Giurisprudenza, iscrizioni dimezzate: perché nessuno vuole più fare l’avvocato

Isabella Policarpio

19 Dicembre 2019 - 09:56

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La facoltà di Giurisprudenza è in crisi; in dieci anni le matricole sono quasi dimezzate. Tra le ragioni del forte calo: pochi sbocchi lavorativi, stipendi bassi e allontanamento dalle professioni legali. Uno scenario poco rassicurante.

Giurisprudenza, iscrizioni dimezzate: perché nessuno vuole più fare l’avvocato

I tempi in cui la laurea magistrale in Giurisprudenza era motivo di vanto e lustro sembrano essere finiti. Di anno in anno le matricole diminuiscono e l’interesse verso il mondo della Legge cala sempre più.

Il motivo è facilmente intuibile: il percorso di studi, pur essendo lungo e impegnativo, non offre molti sbocchi lavorativi e le aspettative salariali non sono proporzionate alla mole di studio. Tanto basta a dimezzare nel giro di dieci anni i giovani che scelgono di intraprendere Giurisprudenza.

A questo dato incontrovertibile, deve poi aggiungersi il fatto che i tempi sono indubbiamente cambiati, e se un tempo bambini e ragazzi sognavano di fare il giudice o l’avvocato, adesso si preferiscono altre carriere, soprattutto nel ramo informatico e della tecnologia in generale.

Senza dubbio la preparazione giuridica consente di maturare consapevolezza del mondo, dello Stato e delle Istituzioni e ha indubbi risvolti pragmatici nella vita di tutti i giorni, tuttavia, dato il forte calo, è evidente che questo percorso di studi necessiti di un “aggiornamento”.

I laureati in Legge, infatti, anche i più preparati, spesso non conoscono l’inglese e in generale le lingue straniere e non hanno conoscenze informatiche adeguate ad entrare immediatamente nel mondo del lavoro.

A questo dato deve poi aggiungersi il fatto che, come spesso si dice, gli avvocati in Italia sono troppi, il lavoro è stressante, gli stipendi bassi e l’esame di abilitazione diventa sempre più selettivo.

I dati parlano da soli, analizziamo la situazione.

Laurea in Giurisprudenza, matricole dimezzate in 10 anni

Che il settore giuridico-legale fosse in crisi ormai da tempo lo si sapeva già. Ma gli ultimi dati mostrano uno scenario ancor peggiore. Secondo l’indagine condotta da Anvur, agenzia pubblica controllata direttamente dal Miur, in un decennio gli iscritti alla facoltà di Giurisprudenza sono quasi dimezzati. L’analisi prende in considerazione il lasso temporale dal 2006 al 2018: gli immatricolati sono passati da 29.000 a 18.000, quindi il 38% in meno.

Non solo è calato il numero degli immatricolati, ma anche degli iscritti totali, ciò significa che molti studenti abbandonano il percorso prima della laurea. Sempre tra il 2006 e il 2018 il numero totale degli studenti di Giurisprudenza è sceso di ben 53.000 unità.

Le cause sono svariate, in primis la mole di studio e la lunghezza del percorso. A questo si aggiunge anche che, dopo la laurea, per entrare nel mondo del lavoro bisogna aspettare molto tempo: sia per la carriera di avvocato che di magistrato che di notaio, sono necessari molti mesi di tirocinio prima di tentare l’esame di abilitazione, il tutto a titolo gratuito o con rimborsi spesa spesso irrisori.

Si può risolvere la crisi di Giurisprudenza?

A questa domanda dobbiamo dare risposta affermativa. Certo è che risolvere la disaffezione verso le materie giuridiche non sarà facile. Serve un profondo rinnovamento del corso di studi, che dovrebbe dare maggiore attenzione agli ambiti richiesti dal mercato del lavoro, quindi l’informatica e le lingue straniere. Serve poi, sdoganare i binomi Giurisprudenza- avvocato e Giurisprudenza- concorsi pubblici.

Infatti è impensabile concentrarsi solo su questi due sbocchi lavorativi, che come sappiamo sono saturi. Invece, almeno secondo il nostro parere, si dovrebbe puntare su settori più dinamici e apprezzati dalle grandi aziende (diritto commerciale, societario, tutela del marchio e dei brevetti) e su una maggiore internazionalizzazione delle discipline.

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