Draghi in Spagna detta la vera linea Bce: «Non è finita». In attesa dell’effetto Le Pen

Mauro Bottarelli

19 Giugno 2021 - 13:00

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Il premier diffida dal ritiro anticipato della politica espansiva, sposando la «dottrina Fed» sull’occupazione come vero barometro e attaccando i populismi. Alla vigilia del voto regionale in Francia

Draghi in Spagna detta la vera linea Bce: «Non è finita». In attesa dell’effetto Le Pen

«Le prospettive complessivamente favorevoli, però, nascondono alcuni rischi significativi. Benché la situazione pandemica sembri sempre piu’ sotto controllo, siamo ancora lontani dalla fine». Parole e musica di Mario Draghi, ospite del prestigioso Cercle d’Economia di Barcellona, prima del bilaterale con l’omologo spagnolo, Pedro Sanchez. Sta tutto in questa frase il senso dei giorni che stiamo vivendo. E, soprattutto, il ruolo di leadership che il primo ministro italiano sta ritagliandosi con sempre maggiore determinazione, quasi una forza tranquilla mitterandiana, nel quadro dell’Europa post-Merkel.

Ma c’è dell’altro, quantomeno nelle parole di un trader con oltre 20 anni di esperienza: Il discorso di Draghi in Spagna ha rappresentato davvero la linea della Bce in vista dell’autunno del post-pandemia, quella che Christine Lagarde non è stata in grado di tracciare - per l’ennesima volta - dopo l’ultimo board. Tradotto, calma assoluta. E attenzione a nominare troppo la t-word, il tapering del Pepp. E in effetti, il presidente del Consiglio ha soppesato con il bilancino tematiche economiche, il suo pane e rilievi chiaramente politici, materia con cui sta prendendo sempre più rapidamente confidenza.

«Usciamo dalla crisi grazie ai vaccini, ora dobbiamo mantenere una politica monetaria e fiscale espansiva... Il protrarsi della situazione di incertezza significa che le ragioni per mantenere una politica monetaria e fiscale espansiva restano convincenti. Il nostro obiettivo minimo deve essere quello di riportare l’attività economica almeno in linea con la traiettoria precedente alla pandemia. Solo allora potremo dire di averne superato gli effetti sulle nostre società e sull’occupazione», ha dichiarato l’ex numero uno dell’Eurotower.

Il quale, pur avvisando della necessità di monitorare con attenzione le dinamiche dell’inflazione, ha lentamente spostato il baricentro della discussione su un altro caposaldo, copiando in questo la dottrina Powell: l’occupazione. Dinamica che in sé garantisce un approccio politico-economico espansivo e che permette, molto più di quella dei prezzi, un’armonizzazione delle posizioni in seno al board Bce: se infatti i Paesi del Nord scontano lo stigma tedesco di Weimar, i colli di bottiglia sulla supply chain e la crisi dei chip che sta mettendo sotto pesante stress la produzione industriale e l’export di Berlino giocano a favore di chi ritiene necessario un approccio con i piedi di piombo all’abbandono di misure straordinarie.

Poi, l’affondo politico: «L’economia globale sta attraversando una fase di profondi cambiamenti, tra cui la transizione ecologica e digitale, che richiederanno una riallocazione della forza lavoro. E’ fondamentale mantenere favorevoli le condizioni della domanda per poter garantire un sostegno ai lavoratori... Nel recente passato ci siamo dimenticati dell’importanza della coesione sociale. In seguito alla crisi del debito sovrano europeo, il numero di persone nell’Ue a rischio di povertà o di esclusione sociale è aumentato di 3,5 milioni e quel numero non è ancora tornato ai livelli pre-crisi. Abbiamo dato la democrazia per scontata e abbiamo ignorato il rischio del populismo».

Il tutto, alla vigilia del primo turno delle elezioni regionali e dipartimentali in Francia di domani, ancora una volta in balìa della variabile Le Pen che agita i sonni dell’inquilino dell’Eliseo. Gli ultimi sondaggi indicano infatti consensi in costante crescita per l’ex Front National (oggi RN), movimento che per la prima volta potrebbe ritrovarsi alla guida di in una regione e che, almeno fino ai sondaggi di giovedì, risultava in vantaggio in almeno 6 su 12. Diverso il clima attorno a En Marche, il partito del presidente Macron. Non fosse altro perché queste amministrative, il cui secondo turno è previsto per il 27 giugno, rappresentano il primo voto post-pandemia (quantomeno nella sua fase più acuta di contagio e lockdown) e, soprattutto, un test relativo alla percezione di risposta offerta dall’esecutivo alla peggior crisi interna dalla strage del Bataclan.

Casualmente, via l’obbligo di mascherina e il coprifuoco a tempo di record. Ovviamente, solo una fortuita coincidenza. E che il test sia tutt’altro che meramente di politica interna, lo spiega il nervosismo che alberga a Parigi. In costante aumento con il passare delle ore. Per il ministro dell’Interno, Gèrald Darmanin, l’eventuale vittoria di RN in una regione porterebbe addirittura un segno satanico sul territorio in questione: quando si scomoda lo stigma del maligno per un presidente di regione, significa essere politicamente terrorizzati. Perché se questi grafici

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Fonte: Insee/MKG Consulting

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Fonte: MKG Consulting

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Fonte: MKG Consulting
mostrano come la cura Bce stia garantendo una prospettiva di rimbalzo decisamente sostenuta all’economia francese, quantomeno legata ai servizi e al turismo, quest’altro

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Fonte: Bloomberg
mostra la faccia più preoccupante: stando a un’elaborazione della Banque de France, circa il 7% delle aziende francesi rischia di non sopravvivere al ritiro dei programmi di sostegno statali messi in campo per fronteggiare l’emergenza.

E se a questa dinamica andasse a sommarsi quella di un rallentamento troppo drastico della politica espansiva della Bce, il rischio è quello di una fiammata estiva del Pil che si traduca in «rimbalzo del gatto morto» già in autunno. Insomma, quel richiamo di Mario Draghi non è stato casuale. Anzi. E’ stato un assist clamoroso a un Emmanuel Macron in modalità elaborazione del lutto per la perdita della partner politica privilegiata degli ultimi quattro anni. Addio asse renano, benvenuto asse transalpino?

E la stessa Angela Merkel potrebbe aver gradito non poco l’affondo «sociale» dell’ex numero uno della Bce, poiché se da un lato garantisce un richiamo netto contro le sirene di Alternative fur Deutschland, dall’altro offre un profilo di coesione sociale e attenzione al mondo del lavoro al soggetto più istituzionale in campo alle legislative del 26 settembre. Tradotto, chi ancora è indeciso fra la continuità della CDU e l’alternativa percepita come più progressista dei Verdi, ora gode di una garanzia in più a favore della prima. E recante la firma nientemeno che di Mr. Whatever it takes in persona, campione indiscusso di quell’europeismo espansivo su cui gli ambientalisti tedeschi hanno finora costruito le loro fortune.

Unica variabile reale? Quella rappresentata da questo ultimo grafico:

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Fonte: Bloomberg
il successo della prima tranche di emissione del bond comune europeo per il finanziamento del Recovery Plan ha palesato davanti agli occhi della Bundesbank e di falchi come Wolfgang Schaeuble l’ipotesi concreta di perdita dello status benchmark del Bund, testimoniata dal calo drastico dello spead di rischio fra decennale tedesco e pari durata europeo dopo l’asta. Quale approccio prevarrà a Francoforte, sponda Buba, di fronte a questo scenario ipotetico?

Cosa peserà di più nelle valutazioni di breve termine, il drastico ridimensionamento del Pil tedesco 2021 già operato dall’Ifo Institute a seguito dello stop dell’industria o il timore potenziale di un’idea di debito comune che suoni da messa in discussione del Bund come bene rifugio europeo di riferimento? A Barcellona, Mario Draghi ha aperto una discussione sul futuro stesso dell’Europa. Inchiodando la Germania alla necessità di scegliere. Dalle urne francesi di domani, forse, avremo una prima, prospettica risposta.

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