Covid, immuni per natura: chi sono?

Laura Pellegrini

25 Gennaio 2021 - 15:57

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Esistono degli individui che nonostante l’esposizione e il contatto con pazienti positivi al Covid non si infettano. Chi sono?

Covid, immuni per natura: chi sono?

Gli scienziati li hanno chiamati “immuni per natura”, ma in realtà si tratta di persone il sui sistema immunitario riesce a difendersi dal Covid-19. Nonostante l’esposizione al rischio di contagio e il contatto con individui positivi al virus, queste persone non si ammalano.

Il caso più clamoroso è quello di due giovani originaria di Terni ma residenti in una stanza a Milano: lui, Alessandro Antonini, era risultato positivo al Covid-19 (dopo aver creduto di aver preso una polmonite); mentre lei, Valeria Fabbretti, che si era presa cura di lui standogli accanto, non si era mai ammalata. La conferma è arrivata da un test sierologico: Fabbretti non ha mai contratto il coronavirus.

Come fanno alcune persone a resistere al contagio? Chi sono gli immuni per natura? Gli scienziati stanno effettuando numerosi studi sul caso, ma ci sono già le prime ipotesi.

Immuni per natura: chi sono

Stare a contatto con un paziente positivo al Covid e non ammalarsi è possibile: esistono alcuni individui “immuni per natura” e la scienza non è ancora in grado di spiegare il motivo di questo privilegio. L’esempio emblematico è quello di Alessandro e Valeria: lui positivo, lei a contatto stretto ma negativa. Come possiamo ipotizzare le cause del fenomeno?

Nel diffondersi del contagio occorre tenere presente diversi fattori, tra i quali il patogeno, l’ospite e l’ambiente. Nel momento in cui abbiamo una persona positiva al virus dobbiamo subito capire se si tratta di asintomatici, moderati lievi o casi gravi. Un team degli scienziati di Tor Vergata, insieme ad un gruppo di oltre 250 laboratori in tutto il mondo coordinati dalla Rockfeller University di New York stanno studiando questo fenomeno.

Studiamo il dna delle persone, facciamo correlazione statistica in base all’età e al sesso. Ci siamo prima concentrati sui malati gravi - ha spiegato Giuseppe Novelli, genetista del policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano, a Il Messaggero - e abbiamo scoperto che esiste un 10-12 per cento di casi che hanno una caratteristica genetica particolare, non riescono cioè a produrre interferone che è la prima molecola di difesa. Sulla base di questa esperienza ci siamo chiesti se ci sono differenze genetiche in quelli che noi chiamiamo i “resistenti”, cioè persone che quando convivono con un soggetto che è certamente positivo non solo non si ammalano, ma non si infettano nemmeno”.

Abbiamo trovato almeno una cinquantina di geni che oggi danno più o meno una suscettibilità ad ammalarsi - ha aggiunto Novelli -. Bisogna capire in sostanza se questi geni hanno un peso”. E per farlo sono necessari ulteriori studi su soggetti che possiedono determinati requisiti.

Come si ottiene l’immunità

Per poter prendere parte allo studio dell’Università di Tor Vergata occorre rispettare alcuni requisiti. Dopo un breve colloquio conoscitivo telefonico, infatti, si potrebbe essere richiamati per approfondire la conoscenza del caso. Tuttavia, non tutti posseggono le condizioni utili per approfondire gli studi.

Come ha precisato Roberto Luzzati, professore di malattie infettive dell’Università di Trieste, “l’immunità non è data solo dagli anticorpi. Esiste anche l’immunità cosiddetta cellulare ”.

Noi abbiamo la cosiddetta immunità cellulo-mediata nella quale - ha spiegato ancora Luzzati - entra in gioco il sistema immunitario cellulare che poi è quello che mantiene la memoria nel tempo, molto più a lungo degli anticorpi che possono anche scomparire”. Per quanto riguarda, invece, la durata dell’immunità, secondo gli ultimi studi, “ dopo l’infezione gli anticorpi dovrebbero essere presenti almeno 6-8 mesi, o forse di più ”.

Alcuni individui, quindi, potrebbero pensare di aver sviluppato un’immunità particolare, ma occorre porre particolare attenzione al test effettuato. Ricordiamo che alcuni tamponi hanno una sensibilità di circa il 70 per cento, quindi un 30 per cento lo perdiamo - ricorda Luzzati -. Si aggiunga poi che gli asintomatici sono circa il 50 per cento dei soggetti e rappresentano il tallone di Achille di questa pandemia.

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