Contestazione delle dimissioni per giusta causa: quali conseguenze?

Claudio Garau

05/10/2021

03/03/2022 - 14:48

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Dimissioni per giusta causa: quali conseguenze nel caso in cui il datore di lavoro dovesse contestarle? Facciamo chiarezza a riguardo.

Contestazione delle dimissioni per giusta causa: quali conseguenze?

Cosa succede se il datore di lavoro contesta la giusta causa nelle dimissioni?

Per sua natura, il rapporto di lavoro ha natura contrattuale e, proprio come un qualsiasi rapporto contrattuale che coinvolge più parti, può evolversi in una risoluzione. D’altronde c’è pur sempre di mezzo la volontà sia del datore di lavoro, sia del lavoratore subordinato.

Come è ben noto, i motivi che sono alla base della risoluzione e dell’estinzione del rapporto lavorativo possono essere molto diversi tra loro. In linea generale, il c.d. recesso consiste in quell’estinzione del rapporto di lavoro che si ricollega a una scelta di volontà dei contraenti. In particolare, in base all’attribuibilità di detta volontà, al datore di lavoro o al dipendente si parlerà rispettivamente di licenziamento o di dimissioni.

In questo articolo vogliamo affrontare le dimissioni per giusta causa sul piano pratico, ponendoci la seguente domanda: in caso di contestazione delle dimissioni per giusta causa da parte dell’azienda, quali conseguenze possono scaturire? Scopriamolo di seguito.

Dimissioni per giusta causa: il contesto di riferimento

Prima di affrontare la accennata e specifica questione, spendiamo qualche parola sul concetto di dimissioni per giusta causa. Con esse abbiamo innanzi uno strumento di tutela dei diritti del lavoratore dipendente. Infatti, a quest’ultimo la legge consente d’interrompere il rapporto di lavoro immediatamente - ossia dall’oggi al domani - senza rispettare il periodo di preavviso di cui al CCNL di riferimento.

Laddove si tratti di dimissioni per giusta causa, la scelta del dipendente è strettamente collegata ad un previo e gravissimo comportamento del datore di lavoro o azienda, tale da impedire la continuazione del rapporto di lavoro. Risulta insomma irrimediabilmente leso il fattore fiducia che lega i contraenti.

Siccome il concetto di “giusta causa” è astratto, per capire in quali casi il lavoratore può dimettersi in tronco, ci è di supporto il contributo della giurisprudenza, che nei casi pratici ha individuato quando sussiste la giusta causa. Pensiamo alle situazioni di mobbing, demansionamento, mancato pagamento dello stipendio, per fare solo qualche esempio.

Oltre all’indennità Naspi, al lavoratore dimessosi per giusta causa spetta anche un’indennità sostitutiva del preavviso - riconosciuta dal datore di lavoro - che è pari alla cifra che avrebbe dovuto incassare nei giorni di preavviso.

Ricordiamo inoltre che fonti normative di riferimento in materia sono il Codice Civile (artt. 2118 e 2119) e il d.lgs. n. 151 del 2015.

Contestazione delle dimissioni per giusta causa: che succede?

A questo punto veniamo al quesito iniziale. La domanda è legittima:
se il datore di lavoro rifiuta e si oppone alle dimissioni per giusta causa, quali sono le conseguenze? Ebbene, vero è che l’azienda non può bloccare le dimissioni del dipendente, ma può contestare il fatto che le dimissioni siano fondata su una giusta causa. In altre parole, può contestare la sussistenza dei motivi che conducono alle dimissioni in tronco.

Nella prassi, il datore di lavoro non di rado si oppone alla sussistenza di una giusta causa di dimissioni e considera il recesso unilaterale del lavoratore come se fosse un caso di dimissioni volontarie, con violazione del cosiddetto periodo di preavviso. Ciò lo condurrà a trattenere dalle spettanze finali destinate al lavoratore, l’indennità sostitutiva del preavviso di dimissioni.

Come è ovvio, questa è una situazione che non può essere accolta di buon grado dal lavoratore. Ecco allora che si renderà opportuno varcare le porte del tribunale, e agire innanzi al giudice del lavoro.

Per questa via, sarà possibile domandare l’accertamento della sussistenza di una ipotesi di giusta causa di dimissioni. Al magistrato il compito di fare luce sulla situazione, insomma.

All’esito dell’iter giudiziario, due saranno le possibili soluzioni:

  • laddove il magistrato propenda per la tesi del datore di lavoro, il comportamento dell’azienda sarà considerato legittimo e alcunché sarà dovuto al dipendente;
  • laddove il magistrato, al contrario, dia ragione al lavoratore, l’azienda dovrà versare all’ormai ex dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso trattenuta e versargli l’indennità sostitutiva del preavviso mai erogata.

Concludendo, se è pur vero che l’indicazione della giusta causa deve essere compiuta nel modulo telematico relativo alle dimissioni - e rappresenta la verità dal lato del lavoratore - è pur vero che le norme vigenti consentono al datore di lavoro di contestare la sussistenza della giusta causa, opponendosi giudizialmente a questo inquadramento del recesso del dipendente.

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