Cina, stretta sul Fintech: il caso Ant Group e il prezzo da pagare per chi sfida i regolatori

Giulia Adonopoulos

19 Novembre 2020 - 12:44

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In Cina la competizione tra banche e fintech è al giro di boa. Tra nuove leggi antitrust e blocco di IPO record, la corsa dei colossi della tecnofinanza sta subendo una battuta d’arresto proprio nel suo mercato più grande.

Cina, stretta sul Fintech: il caso Ant Group e il prezzo da pagare per chi sfida i regolatori

Ha un mercato dei pagamenti mobile che vale circa 30 trilioni di dollari e che la sta per rendere la prima società cashless al mondo. La gestione patrimoniale online è un trend in crescita, e si stima che 10 trilioni di dollari saranno investiti tramite piattaforme digitali entro il 2025. La blockchain è ormai una priorità nazionale, con le banche che che la utilizzano per i prestiti alle PMI, nella gestione del rischio e nell’efficienza operativa, mentre il Paese si prepara a lanciare la prima criptovaluta di Stato.

Parliamo della Cina, ormai terra promessa del fintech e per gli investitori del settore, dove la corsa dei colossi alla conquista dei mercati inizia a subire una battuta d’arresto.

Cina, giro di vite per i colossi del fintech: il caso Ant Group

I primi di novembre la quotazione di Ant Group sulla Borsa di Shanghai è stata bruscamente sospesa alla vigilia dell’IPO dalle autorità di regolamentazione cinesi. La società ha stoppato anche la quotazione a Hong Kong, scusandosi con gli investitori. Con un’offerta pari a 34,5 miliardi di dollari sarebbe stata l’IPO più grande di tutti i tempi, superiore a quelle di Saudi Aramco e Alibaba, e avrebbe portato una valutazione di Ant di 313 miliardi di dollari, vicina a quella di Bank of America, per intenderci.

Quasi contemporaneamente con la sospensione dell’IPO di Ant, il regolatore ha annunciato una bozza di legge che impone alle fintech che una serie di regole più restrittive, tra cui l’obbligo di coprire con capitale proprio il 30% di ogni prestito erogato (Ant Group copre solo il 2%).

Ma cosa è successo? Perché la Cina ha fermato l’IPO di Ant? Secondo il Wall Street Journal, il leader del Partito Comunista Cinese Xi Jinping ha voluto affondare personalmente l’IPO di Ant, anche se la dichiarazione ufficiale della Borsa di Shanghai riporta che Ant Group è stata squalificata dalla quotazione “a causa delle modifiche del contesto normativo in materia di tecnofinanza, poiché non soddisfa i requisiti in merito alla divulgazione di informazioni”.

La società, che possiede l’applicazione di pagamenti mobile Alipay e offre servizi di microcrediti, è finita nel mirino dell’authority cinese per rapporti interni che accusano Ant di “incoraggiare l’indebitamento dei poveri e dei giovani”. Pechino ha infatti dichiarato di aver frenato la quotazione per “proteggere la stabilità del mercato”.

In un lungo articolo pubblicato su Forbes a firma di George Calhoun sul perché la Cina ha fermato l’IPO di Ant, si affronta la questione del suo pericoloso modello di business.

Il problema risiede nella stessa IPO: i banchieri che lavoravano all’IPO a Shanghai hanno affermato che le offerte hanno superato il valore delle azioni in offerta di oltre 870 volte, per $ 2,8 trilioni, e solo dagli investitori retail della Cina continentale. Il prezzo delle azioni si sarebbe tremendamente gonfiato a seguito dell’offerta. I regolatori cinesi si sarebbero quindi resi conto di una crisi imminente.

Un’ipotesi molto gettonata è che il governo centrale avesse voluto punire Jack Ma, considerato arrogante dopo aver detto che l’establishment finanziario cinese è un “club per anziani” e che le banche cinesi hanno una “mentalità da banco dei pegni”, antiquata e con scarsa conoscenza della tecnologia.

Lo stop dell’IPO da parte delle authority cinesi sarebbe, secondo alcuni, un chiaro messaggio di Pechino con cui si manifesta l’intolleranza contro ogni grande impresa privata in Cina. Un’altra teoria è che le banche tradizionali vogliano costringere Ant e le società di microcredito del Paese a giocare secondo le loro regole e con i loro stessi vincoli.

E l’unico modo per tenere a freno un’azienda in forte espansione come Ant senza sconvolgere troppo i mercati è rafforzare il controllo del settore con normative più rigide.

Ma cos’è davvero Ant Group

Per chi non lo sapesse, Ant Group è la più grande società di pagamenti mobile e online al mondo (tramite la piattaforma Alipay), gestisce più transazioni di pagamento rispetto a Mastercard e Visa messe insieme, ma anche il gigantesco fondo monetario Yu’ebao.

In Cina la popolarità del suo fondatore, il miliardario Jack Ma, è paragonabile a quella di Elon Musk, Warren Buffett e Bill Gates negli USA. Il signor Ma è considerato un frontman nazionale, alla pari del presidente Xi Jinping.

Non a caso il Financial Times scrive: “Più importante delle sue dimensioni è ciò che Ant rappresenta”. Ovvero il futuro del settore bancario, assicurativo e degli investimenti, il futuro del credito al consumo. Al suo cospetto qualsiasi banca appare come un dinosauro.

Ma la quotazione di Ant a Shanghai era molto più di un’offerta di azioni. Era una dichiarazione di indipendenza con cui dimostrare che la Cina non ha bisogno dei capitali statunitensi per finanziare le sue società, ancora tanto dipendenti dai prestiti bancari interni.

Le nuove regole sul microcredito

Tramite l’attività di peer to peer lending Ant Group ha guadagnato 28,5 miliardi di yuan solo nella prima metà del 2020, pari al 39,41% del suo fatturato complessivo.

Stando ai dati di Bloomberg, la società ha erogato microprestiti a più di 500 milioni di clienti, per un valore complessivo di 257 miliardi di dollari da giugno 2019 a giugno 2020, mettendo solo il 2% di capitale proprio e coprendo il resto con fondi a prestito da società terze o vendendolo come rischio nei mercati del debito.

Ciò è stato finora possibile grazie a un vuoto legislativo che esentava le fintech dalle normative più stringenti e dai controlli applicati alle banche di Stato. Una differenza di trattamento che non solo ha incoraggiato l’incredibile ascesa delle fintech cinesi, ma favorito anche il pericoloso fenomeno dello “shadow banking”.

La bozza del nuovo regolamento annunciata dalle authority poco prima della sospensione dll’IPO prevedono pesanti restrizioni a società come Ant, dai limiti sulle somme che possono prestare agli utenti, alla copertura del debito con il 30% del capitale proprio, a nuove licenze per operare su scala nazionale. In sostanza, è previsto che i giganti dei microcrediti online vengano trattati come le banche.

Le aziende avranno 1 anno per conformarsi alle nuove regole e 3 anni per ottenere una licenza interregionale una volta che la legge entrerà in vigore. 

Ottenuti tutti i requisiti, ovviamente, Ant Group potrà fare nuova domanda per l’IPO, ma secondo il FT ci vorranno mesi prima che la quotazione del gruppo possa essere riprogrammata.

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