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di Glauco Maggi

Biden è in caduta libera, solo il 45% lo sostiene

Glauco Maggi

7 settembre 2021

Biden è in caduta libera, solo il 45% lo sostiene

Il 49,6% della media dei sondaggi tenuti dal 19 agosto al 2 settembre ha espresso un giudizio negativo su Joe Biden alla Casa Bianca, contro il 45% che sta dalla sua parte.

Metà del paese ha tirato le somme, e disapprova il comportamento del nuovo presidente. Monta, insomma, il rimorso del compratore. Il 49,6% della media dei sondaggi tenuti dal 19 agosto al 2 settembre ha espresso un giudizio negativo su Joe Biden alla Casa Bianca, contro il 45% che sta dalla sua parte.

Se si considera che l’attentato dei terroristi islamici a Kabul, con i 13 militari americani uccisi, è avvenuto il 26 agosto, queste cifre non sono di sicuro destinate a migliorare per il profilo del leader Democratico, almeno non nel prossimo futuro.

Biden è in caduta libera, lo dicono i sondaggi

Sette dei nove sondaggi, raccolti dal sito Real Clear Politics dal 19 agosto al 2 settembre, mostrano Biden in rosso, ossia con più detrattori che estimatori: per ABC News /Washington Post il distacco è di 7 punti (44 favorevoli e 51 contrari), per NPR/BPS/Marist di 8 punti (43 favorevoli e 51 contrari), per Rasmussen di 14 (42 favorevoli e 56 contrari), per USA Today/Suffolk di 14 (41 favorevoli e 55 contrari), mentre per Reuters/Ipsos, Emerson e Politico/Morning Consult il distacco è minimo, di uno o due punti. The Hill/Harris è il solo sondaggio a dare 6 punti di vantaggio a Biden (49 a favore e 43 contro), ma è il più lontano nel tempo, dal 20 al 22 agosto, 4 giorni prima dell’attentato di Kabul. Per Economist-YouGov, infine, Biden ha il 47% di favorevoli, e il 46% di contrari.

La relativa velocità nella caduta della stima della nazione per un presidente che era stato eletto da oltre 80milioni di voti si spiega, ovviamente, con l’enormità oggettiva degli eventi che sono sotto la sua responsibilità. Ma un ruolo lo sta svolgendo anche la stampa del mainstream, che non può nascondere o addolcire più di tanto la drammatica situazione in cui il comandante in capo dell’esercito più forte al mondo ha subito l’umiliazione di una batosta che è entrata nella storia, dove è destinata a restarci per decenni con il marchio della infamia.

Stavolta, se possibile, il Pentagono e la Casa Bianca sono usciti peggio che dal Vietnam. Non era mai capitato, prima, che ai marines fosse ordinato di organizzare un ritiro notturno, quatti quatti, dalla più importante base aerea (Bagram) senza neppure avvisare prima gli alleati afghani, né consultarsi con gli alleati NATO.

E tanto meno che un presidente pensasse più a rispettare una scadenza fissata sulla carta che non a salvare tutti gli americani e le decine di migliaia di amici e alleati afghani, abbandonati al loro destino. É ormai nota per tutti la verità che a spingere Biden a ordinare che tutti i soldati USA lasciassero il paeseentro la fine di agosto 2021 non è stato affatto l’accordo di Trump con i Talebani di inizio 2020: se Biden credeva giusto mantenerlo, poteva e doveva essere capace di gestirlo meglio; oppure, se per Joe era un patto scellerato, poteva e doveva essere semplicemente cancellato.

L’obiettivo reale, peraltro esplicitato dallo stesso Joe, era invece sempre stato quello di chiudere la guerra in Afghanistan prima della ricorrenza dell’11 settembre. Biden era convinto che una bella foto, da scattare il giorno prima di quell’anniversario fra una settimana, lo avrebbe celebrato come il presidente realista che ha saputo voltare pagina. Come il leader che si accolla un compito storico, quello di finire una guerra che ha fatto troppi morti e ha fatto spendere troppi soldi, e della quale il paese era stanco e non ne poteva più. Biden sognava insomma una promozione piena, magari un’incoronazione, a uso dei libri di storia. Insieme, però, coltivava pure un calcolo politico immediato, quello di trarre vantaggio dall’essere il becchino dell’impegno militare USA a Kabul di fronte agli occhi degli americani di oggi.

Ha sbagliato irreparabilmente, perché gli americani sanno distinguere tra la scelta strategica dell’addio a Kabul, che poteva avere ottime ragioni dopo 20 anni (Trump la pensava allo stesso modo), e l’implementazione pratica di questo ritiro. Questo è il terreno della gestione concreta, dove un leader mostra il suo acume, la sua lucidità, la sua freddezza e intelligenza operativa. Oppure mostra i suoi limiti e difetti, e questi hanno un costo in vite ancora da calcolare: che fine faranno gli afghani, e i cittadini USA, abbandonati alla mercé dei Talebani?

E non c’è solo questo aspetto inquietante, prodotto di un comportamento così “non americano”. C’è pure l’aver lasciato al governo islamista in guerra contro l’America un patrimonio in equipaggiamento militare - armi, camion, velivoli, materiale per le comunicazioni - una beffa che si aggiunge al danno della sconfitta.

Ecco perché una maggioranza di votanti (il 52%), alla domanda di Rasmussen “il presidente Biden dovrebbe dimettersi per la maniera in cui il ritiro americano è stato gestito?” ha risposto “sì”, mentre solo il 39% ha detto di no. Da notare che tra i “sì” ci sono un terzo di elettori Democratici (il 32%), oltre tre quarti dei Repubblicani e una maggioranza relativa di Indipendenti (il 48%).

Dovrebbe essere impeached, Biden, per aver abbandonato, ubbidendo alla scadenza del 31 agosto fissata dai Talebani, migliaia di Afghani che hanno combattuto con noi e svariati cittadini americani?” Nello stesso sondaggio il 60% ha detto di essere d’accordo con questa affermazione, il 46% “fortemente” e il 14% “in una certa misura”.

A mio avviso le dimissioni e l’impeachment non sono oggi prospettive realistiche, ma lo smottamento di Biden è di sicuro in atto. Sempre secondo Rasmussen (che conduce i suoi sondaggi con la metodologia “interactive voice response IVR”, ossia con interviste fatte da una voce registrata, non da persone umane), solo il 37% dei votanti in generale dice che oggi voterebbe per Biden; il 13% dei Democratici dice che voterebbe per Trump; il sostegno dei “moderati” per Biden sarebbe sceso del 13%; l’11% dei votanti tra i 18 e i 39 anni sarebbe pentito del voto dato nel 2020, e idem per il 14% dei neri americani, per il 9% dei Democratici e per il 12% dei "moderati”.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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