Altro che Ponte sullo Stretto: l’Italia è piena di emergenze

Erasmo Venosi

11 Giugno 2020 - 13:32

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Un’Italia piena di emergenze riassunte alla perfezione nel caso Sicilia

Altro che Ponte sullo Stretto: l’Italia è piena di emergenze

Il dato complessivo è questo: 200 mila morti dall’Unità d’Italia a oggi, sotto le macerie dei terremoti o nel fango delle alluvioni, e 7 miliardi di spesa all’anno dal dopoguerra, per risarcimenti e ricostruzioni.

Nel 1966 una frana ad Agrigento e 66 famiglie senza casa hanno ricevuto il risarcimento 41 anni dopo. Anno 2006 e il ministro dell’ambiente Pecoraro Scanio che dichiara “la difesa del suolo è l’opera pubblica più importante. Significa salvare vite umane, difendere l’ambiente, le città, e salvaguardare anche le attività produttive del territorio. I fondi servono per non dovere poi piangere i morti di frane e alluvioni”.

Le emergenze italiane spiegate

Pecoraro istituì l’Osservatorio Nazionale per la Difesa del Suolo e la Tutela delle Acque con compito di monitoraggio economico e tecnico degli interventi e opere, di verificare la capacità di spesa degli enti sui finanziamenti, concessi. Quindi? Non se ne fece nulla!

Arriva la Prestigiacomo e dichiara “La prevenzione del dissesto idrogeologico è una scelta di difesa della vita”. Programmò 1.647 interventi. Cantieri aperti? Pochissimi. Diventa ministro Clini e quantifica in 40 miliardi di euro un Piano contro il dissesto dichiarandolo “urgente e prioritario”.

Addirittura il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) inserì nelle linee strategiche il dissesto idrogeologico come adattamento ai cambiamenti climatici. E cosa dire della quasi estinzione dei geologi? La Gelmini ha soppresso e accorpato senza ritegno i dipartimenti universitari, che formavano gli studiosi del suolo e del sottosuolo.

Dal 2000 al 2014 i docenti ordinari di Scienza della Terra sono diminuiti del 44,4% e i dipartimenti sono passati da 38 a 27 e al 2015 all’8%, e per legge oggi al 5%. Dissesto idrogeologico, e cosa dire del problema idrico e dei trasporti regionali? L’esempio più drammatico è quello siciliano.

La piaga della siccità, e cosa dire delle dighe incompiute? Lo scandalo dell’invaso di Blufi? Un bacino di 12 milioni di metri cubi di acqua, a 900 metri di altitudine. Doveva servire gli abitanti delle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Opera iniziata nel 1989 e stoppata nel 1995 e lavori mai più ripresi. Costi di intervento per ultimazione? 260 milioni più 160 milioni per il collegamento con gli invasi di Fanaco e Ancipa.

Ha inciso come causa reale il grande business della privatizzazione dell’acqua in Sicilia? Affari d’oro per Veolia, la famiglia Pesenti? Non solo l’invaso di Blufi, ma anche la diga fantasma di Pietrarossa con lavori iniziati alla fine degli anni 80 e fermi dal 1997.

Il mese scorso la Regione ha aggiudicato la gara, per il completamento della diga che doveva servire 21 mila ettari di terreno agricolo e dove tre consorzi di bonifica non riescono a garantire il servizio agli agricoltori della zona, Canicattì quartieri con l’acqua per poche ore al giorno e così a Licata, Ravanusa, Aragona, Montevago, San Giovanni Gemini Casteltermini, Favara.

Invasi, dighe incompiute, perdite dagli acquedotti che arrivano fino al 50%. La società Girgenti Acque gestisce il servizio idrico in provincia di Agrigento e la Procura le ha tolto la gestione di 6 impianti di depurazione. Esistono paesi della Sicilia, dove gli impianti sono sempre rotti e l’acqua arriva ogni 15 giorni.

Il massimo dell’assurdo accade, a Niscemi in provincia di Caltanissetta, dove l’acqua arriva ogni 8 /10 giorni, ma dove si pagano bollette altissime. L’assurdo è che gli italiani hanno fatto un referendum per l’acqua pubblica, ma qua se ne sono fregati. Nessun partito o movimento, vecchio o nuovo denuncia quest’abuso di potere. Un sistema assurdo!

La Regione ha dato in concessione tutte le sorgenti a Siciliacque Spa per 40 anni e che ha versato alla regione 7 milioni di euro. Siciliacque posseduta al 75% da Idrosicilia, controllata dalla multinazionale francese Veolia.

Situazione assurda quella dei trasporti in Sicilia e che rappresenta il paradigma dell’incoscienza del decisore pubblico perché si somma al dissesto idrogeologico e al dramma idrico.

Strade che crollano sulle Madonie, frane sull’autostrada A18 Messina/Catania all’altezza di Letojanni, corsia unica sulla statale per Sciacca. Il viadotto Himera crollato nel 2015 e forse riapre a settembre! Tempo di viaggio in treno tra Trapani e Siracusa 13 ore e 50 minuti mentre da Trapani a Palermo ci vogliono 5 ore e 34 minuti con una velocità commerciale di 17,9 Km all’ora.

Ogni giorno in Sicilia si muovono 486 treni, contro i 2.560 della Lombardia cioè 5,3 volte meno treni pur avendo la metà degli abitanti. I Km a doppio binario sono miserrimi, 193 contro i 929 della Puglia, i 736 della Campania e i 1.002 del Lazio. Età media convogli 19,3 anni contro i circa 12 del Nord.

Situazione strana se solo si pensa a quanto dichiarò l’allora ministro Delrio, cioè che erano stati stanziati 18 miliardi di euro e altri 9,8 mld erano pronti. Infine fino alla condanna, il Prof. Universitario, siciliano Lo Bosco è stato presidente di Rete Ferroviaria Italiana (RFI). Questa la precarissima situazione siciliana, ma loro vogliono il Ponte, tra l’altro con parere negativo di compatibilità ambientale del Ministero dell’Ambiente.

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