Qual è la tassa più pesante che gli italiani pagano ogni giorno (oltre l’Iva)?

Patrizia Del Pidio

16 Maggio 2024 - 11:57

L’Italia oltre a essere impoverita dalle tasse, lo è anche dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Vediamo a cosa ci si riferisce quando si parla di “tassa inflazione”.

Qual è la tassa più pesante che gli italiani pagano ogni giorno (oltre l’Iva)?

Qual è la tassa più pesante che c’è in Italia? Nel corso degli anni gli italiani si sono trovati impoveriti sempre di più a causa della pressione fiscale. Il potere di acquisto di lavoratori e pensionati, man mano, è sempre più andato a scendere. La causa dell’impoverimento degli italiani, che colpisce più pesantemente le classi meno abbienti, non va ricercata solo nell’aumento delle imposte, come Irpef o Iva, ma nel progressivo aumento del tasso di inflazione.

Negli ultimi anni, infatti, si è registrato un aumento dei prezzi dei beni di consumo che è stato incrementato anche dai rincari dell’energia. Il tutto è stato percepito in modo molto più accentuato dalle famiglie con reddito più basso tanto da essere definito come “tassa dell’inflazione”. Perché a essere colpiti sono coloro che hanno un reddito più basso e perché si tratta di un circolo vizioso da cui è così difficile uscire?

La tassa dell’inflazione che colpisce più pesantemente chi ha di meno

Le famiglie a basso reddito destinano la maggior parte dei soldi che hanno a disposizione per i consumi alimentari, quelli necessari e di cui non si può fare a meno. Ma questi sono anche i servizi che hanno riscontrato l’aumento dei prezzi maggiore.

Chi ha meno patrimonio, redditi e possedimenti, tra l’altro, è anche chi ha la minor possibilità di difendersi dall’inflazione ricorrendo ai beni rifugio: essendo la quantità di beni e servizi che acquista già bassa non è possibile ridurla ulteriormente e non ci sono beni da liquidare per combattere l’aumento dei prezzi. Non è possibile, tra l’altro, neanche erodere il risparmio che, in molti casi, è pressoché nullo.

Chi è più povero è colpito in modo sproporzionato dall’aumento del costo del cibo, dell’affitto, delle bollette delle utenze domestiche. Si tratta di beni e servizi di cui non si può fare a meno e pertanto si deve subire l’aumento dei costi senza poter in nessun modo ridurre i consumi.

I ricchi continuano a comprare

Quando si assiste a un periodo in cui l’inflazione fa crescere i prezzi, solitamente diminuisce la spesa effettuata per beni durevoli, mentre rimane costante quella dei beni non durevoli. In questa recessione, però, si è verificato il contrario: la riduzione si è registrata sui beni alimentari e su spesa per carburanti ed energia, mentre i volumi di acquisto di beni durevoli, come automobili, elettrodomestici, elettronica, abbigliamento, giocattoli e cultura, è continuato a crescere nonostante i prezzi più elevati.

Per le famiglie più abbienti spese non necessarie, come ristoranti, trasporti o intrattenimento, hanno continuato ad aumentare. Quello che va considerato, però, è che questi beni e servizi hanno subito un aumento dei prezzi meno importante con la conseguenza che la classe medio/alta ha risentito meno dell’inflazione perché nel novero delle spese effettuate, a parte quelle essenziali, gli aumenti dei prezzi sono stati più contenuti.

L’inflazione, quindi, ha colpito maggiormente i più poveri che, per far fronte al caro prezzi, hanno dovuto tagliare tutto, compresi i beni di prima necessità.

La tassa che pesa di più

Anche se, come abbiamo detto in apertura, la pressione fiscale in Italia è davvero altissima, a pesare sul risparmio delle classi meno abbienti è l’inflazione, non una tassa. Per l’incidenza che, però, ha l’aumento dei prezzi sul potere di acquisto di una fascia tanto larga di cittadini, l’inflazione può essere considerata come una tassa. Questo accade soprattutto perché in Italia, anche se si sta cercando di migliorare i dati sull’occupazione, la quota di occupati che sono in una condizione economica vulnerabile è altissima.

Negli ultimi dieci anni il potere di acquisto delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5%.
Il problema principale va ricercato nel fatto che le retribuzioni medie non crescono allo stesso ritmo con cui crescono i prezzi e la conseguenza è che per i lavoratori è difficile far fronte alle spese quotidiane senza andare in sofferenza economica.

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