Pensioni più basse di 600 euro per chi ha iniziato a lavorare dal 1996, lo dice la legge

Simone Micocci

1 Maggio 2024 - 08:54

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Pensioni inferiori al minimo, nessuna integrazione per chi lavora dal 1996. Sarebbe ora di cambiare la legge (come tra l’altro promesso da tutti gli ultimi governi).

Pensioni più basse di 600 euro per chi ha iniziato a lavorare dal 1996, lo dice la legge

La priorità per il futuro sarà un sistema pensionistico che garantisca anche le giovani generazioni e chi percepirà l’assegno solo in base al regime contributivo”. A dichiararlo la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel discorso di insediamento alle Camere pronunciato nell’ottobre del 2022, aggiungendo che si tratta di “una bomba sociale che continuiamo a ignorare ma che investirà in futuro milioni di attuali lavoratori, che si ritroveranno con assegni addirittura molto più bassi di quelli già inadeguati che si percepiscono attualmente”.

Fa sorridere il fatto che la cosiddetta pensione di garanzia sia stato l’unico riferimento alle pensioni fatto dalla Presidente del Consiglio in questo discorso: nessun accenno all’addio alla legge Fornero, sulla quale Matteo Salvini si concentrò per tutta la campagna elettorale, come pure all’aumento a 1.000 euro degli assegni che invece era stato promesso da Silvio Berlusconi.

Di pensioni si è parlato solamente in questo momento, dando così speranza a tutti quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dal 1996 e avendo la pensione calcolata interamente con il contributivo rischiano di percepire un assegno molto basso, a oggi persino inferiore ai 598,61 euro della pensione minima.

Da quelle dichiarazioni sono trascorsi quasi due anni, con ben due leggi di Bilancio nel mezzo, ma non c’è stato alcun intervento concreto in questa direzione.

Eppure, ce ne sarebbe assoluto bisogno.

Pensione più bassa di 600 euro per chi ha iniziato a lavorare dal 1996

Chi ha contributi versati solamente dopo il 1996 rientra nel regime contributivo puro, con effetti tanto sul calcolo della pensione quanto sul raggiungimento della stessa.

Con il contributivo l’assegno viene calcolato prendendo tutti i contributi maturati dal lavoratore per poi trasformarli in assegno attraverso un coefficiente tanto più vantaggioso quanto più si ritarda l’accesso alla pensione. Ad esempio, oggi per chi ci va a 64 anni è pari al 5,184%, mentre per chi aspetta i 67 anni è del 5,723%.

Non è raro con questo sistema ritrovarsi con pensioni molto basse, specialmente nei casi in cui gli anni di contributi sono pochi. Pensiamo ad esempio a un lavoratore che a causa di una malattia o di un infortunio accede alla pensione da molto giovane (ricordiamo che con capacità lavorativa ridotta di un terzo il collocamento in quiescenza può avvenire con soli 5 anni di contributi), oppure alla pensione di reversibilità lasciata dal coniuge defunto prematuramente.

Il problema è che la legge acconsente, tacitamente, al fatto che possa esserci una pensione inferiore al minimo, oggi appena inferiore a 600 euro. Questo perché mentre le pensioni di chi ha almeno un contributo settimanale accreditato entro il 31 dicembre 1995 possono godere dell’integrazione al trattamento minimo, con il quale l’importo percepito viene portato almeno a raggiungere la soglia minima individuata dalla legge (e soggetta ogni anno a rivalutazione), per i contributivi puri non è così. Anche laddove, ad esempio, ne risulti una pensione di 200 euro al mese, quindi, non c’è possibilità di aumentarla.

Non è così complicato avere una pensione inferiore a 600 euro

E attenzione, perché con il contributivo puro non è raro avere una pensione inferiore a 600 euro.

Prendiamo ad esempio a un lavoratore che ci va a 67 anni con 20 anni di contributi, ma percependo in media stipendi molto bassi, fino a 1.000 euro lordi mensili: questo godrà di una pensione di circa 400 euro.

Ancora peggio, un lavoratore di 40 anni a cui viene riscontrata una patologia invalidante con capacità lavorativa ridotta a un terzo con la possibilità di richiedere il cosiddetto Assegno ordinario di invalidità. Questo ha maturato 10 anni di contributi con uno stipendio medio di 1.500 euro: la sua pensione, calcolata con un coefficiente di trasformazione pari al 4,270%, sarà pari a circa 320 euro mensili. Meno di quanto si prende di Assegno sociale (oggi pari a 534,41 euro) che spetta all’età di 67 anni anche a coloro che non hanno mai lavorato.

E ancora, consideriamo un lavoratore morto prematuramente a 35 anni con 10 anni di contributi e una retribuzione media di 1.700 euro l’anno. La pensione sulla quale si calcola la quota che andrà ai familiari superstiti è quindi pari a 3.110 euro l’anno, di cui ne spetta il 60% alla moglie. Questa, quindi, prenderà di pensione diretta del marito appena 143 euro.

La pensione di garanzia dovrebbe essere un diritto di tutti

Quando una persona ha lavorato per il tempo sufficiente da assicurarsi il diritto a una pensione, sarebbe opportuno che lo Stato gli garantisca un minimo vitale. È così per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, dovrebbe valere anche per chi lo ha fatto dopo.

Ma d’altronde non è solamente un nostro parere: tutti i governi che si sono susseguiti in questi anni hanno posto il riconoscimento di una pensione di garanzia in cima alle priorità. Non ultimo, come visto sopra, il governo Meloni.

Tuttavia, non trattandosi ancora di un tema in grado di attirare le masse - d’altronde sono ancora pochi coloro che vanno in pensione interamente con il sistema di calcolo contributivo, ancor meno quelli a cui risulta un assegno inferiore al trattamento minimo - i governi hanno preferito concentrarsi su misure in grado di accrescere il loro consenso elettorale. Tant’è che negli ultimi anni si è parlato solamente di “quote” per facilitare l’accesso alla pensione.

Nulla di fatto per disinnescare la “bomba” che per stessa ammissione di Giorgia Meloni è lì, pronta a esplodere, ma per la quale servono risorse che al momento non sembrano esserci (o che meglio, si preferiscono destinare ad altro).

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